I Proletari nella società capitalista secondo Marx

Pubblicato il da giornaleproletariogarfagnino

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Marx sostiene che solamente i proletari sono destinati a distruggere la società borghese, ritenendoli l'unica classe veramente rivoluzionaria. 

Riportiamo questo scritto, vecchio di 164 anni, in quanto ritenuto di estrema attualità per il movimento proletario.

 

Karl Marx dal Manifesto del Partito Comunista

 

Le armi con le quali la borghesia ha abbattuto il fedaulesimo si rivolgono oggi contro la borghesia stessa.

La borghesia però non solo ha fabbricato le armi che la distruggeranno; ha generato anche gli uomini che faranno uso di esse: i moderni operai, i proletari.

Nella stessa misura in cui si sviluppa la borghesia, cioè il capitale, si sviluppa anche il proletariato, la classe dei moderni operai, che vivono solo fin quando trovano lavoro e trovano lavoro solo fin quando il loro lavoro accresce il capitale.

Questi operai, che si vedono costretti a vendersi al minuto, sono una merce al pari di qualunque altro articolo commerciale e per questo sono altrettanto esposti a tutte le alterne vicende della concorrenza, a tutte le oscillazioni del mercato.

Divenendo universali l'impiego delle macchine e la divisione del lavoro, il lavoro dei proletari ha perduto ogni carattere d'indipendenza e quindi ogni attrattiva per l'operaio. Questi diviene un mero accessorio della macchina, cui non è richiesta che un'applicazione tra le più semplici e monotone, assai facile ad imparare. Di conseguenza le spese che un operaio comporta si riducono quasi unicamente ai mezzi di sostentamento che occorrono per la sua conservazione e per la produzione della propria razza. Il prezzo di una merce tuttavia, perciò anche del lavoro, è uguale ai suoi costi di produzione. Quindi, nella stessa misura in cui aumenta la noiosità del lavoro, diminuisce il salario. Ancor più nella stessa misura in cui s'estendono l'uso delle macchine e la divisione del lavoro, s'accresce anche la quantità di quest'ultimo, sia per l'accrescersi delle ore lavorative, sia per l'aumento del lavoro che si richiede in un certo lasso di tempo, per la maggiore velocità delle macchine, ecc.

L'industria moderna ha trasformato la piccola officina dell'artigianato patriarcale nella grande fabbrica del capitalista industriale. Masse di operai agglomerate nelle fabbriche vengono organizzate come altrettanti reggimenti. Come soldati semplici dell'industria, essi vengono sottoposti al controllo di tutta una gerarchia di sottufficiali e ufficiali. Non soltanto sono servi della classe borghese, Dello Stato borghese, ma, giorno per giorno e ora per ora, vengono resi schiavi della macchina, del sorvegliante, e soprattutto del singolo fabbricante borghese. Questo dispotismo è tanto più meschino, odioso, esasperante, quanto più palesemente esso proclama come suo fine il guadagno.

[...]

Di tutte le classi che oggi si contrappongono alla borghesia, solo il proletariato è una classe realmente rivoluzionaria. Le altre classi decadono e muoiono con la grande industria, il proletariato è di essa il prodotto più specifico.

I ceti medi, il piccolo industriale, il piccolo commerciante, l'artigiano, il contadino, combattono tutti la borghesia per poter conservare la propria esistenza come ceti medi. Quindi non sono rivoluzionari, bensì conservatori. Ma v'è di più: essi sono reazionari, giacché cercano di far camminare a ritroso la storia. Se sono rivoluzionari, lo sono in quanto prevedono di dover passare al proletariato e così non difendono i loro attuali interessi, ma quelli futuri, e abbandonano il loro punto di vista per adottare quello del proletariato.

Il sottoproletariato, questa putrefazione passiva degli strati più bassi della vecchia società, attraverso una rivoluzione proletaria viene gettato qua e là nel movimento e proprio per le sue condizioni di vita sarà sempre pronto a lasciarsi comprare per manovre reazionarie.

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