Per una riconciliazione fra marxismo e psicoanalisi, di Riccardo Achilli

Pubblicato il da giornaleproletariogarfagnino

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Ringraziamo Riccardo Achilli per averci inviato questo pezzo. L'articolo in questione verrà pubblicato in varie parti, grazie e buona lettura.

 

Introduzione

 

La storia del marxismo e della psicoanalisi hanno numerosi punti di contatto, e veri e propri tentativi di realizzazione di costruzioni teoriche comuni, anche tramite esperimenti pratici in cui si utilizzarono i metodi della psicoanalisi in un quadro di obiettivi marxisti. Tuttavia, questa storia è, per utilizzare una metafora, come quella di due amanti che sono fortemente infatuati, ma che non arrivano a comprendersi vicendevolmente in modo soddisfacente, anche e soprattutto rispetto alle reciproche e notevoli differenze, per cui dall'infatuazione non riescono a costruire un rapporto stabile e pienamente appagante, e finiscono per abbandonarsi.

La finalità di questo articolo è quella di proporre una ricostruzione del rapporto fra marxismo e psicoanalisi, ovviamente partendo da basi diverse rispetto al passato, e riconoscendo i fallimenti, ma anche gli avanzamenti, sul terreno della loro ricerca di un campo comune di analisi e prassi. Per fare ciò, si analizzerà in modo molto sintetico la nascita della scienza psicoanalitica, per poi evidenziare gli approcci che, sia in campo psicoanalitico che marxista, hanno tentato di costruire un campo comune fra le due discipline, mettendo in luce gli errori che hanno spesso condotto al fallimento tali tentativi, ed infine riproporre la necessità, ed urgenza, di una “ricostruzione” del rapporto perduto fra marxismo e psicoanalisi.

Non si prenderà in considerazione il tentativo di sviluppare una rifondazione radicale della psicoanalisi in chiave rivoluzionaria effettuato da Deleuze e Guattari, e che come noto portò alla elaborazione dell'ipotesi di “schizoanalisi” (che rimase pura ipotesi di lavoro). Infatti, chi scrive ritiene che lo sviluppo di tale ipotesi conduca ad esiti non rivoluzionari, perché l'idea di un desiderio che precede le forme fisiche, e che in qualche modo le prefigura e produce una soggettività di per sé inesistente, ovvero di una “grande macchina desiderante” con finalità produttive delle stesse forme soggettive, che la schizofrenia (intesa, ovviamente, non in senso clinico, ma in senso idealistico o “romantico”, come ebbe a dire Guattari) dovrebbe liberare dalla gabbia della repressione familistica e borghese, in realtà conduce al capitalismo stesso. Tale sistema, infatti, vive proprio generando continuamente flussi di desideri, in larga parte manipolati, tramite i quali compensare gli effetti psicologici dell'alienazione e dell'isolamento dell'individuo dai suoi simili e da sé stesso, sviandone continuamente l'autorealizzazione personale, in nome del soddisfacimento di desideri artificiali (volendo, la “macchina del desiderio” capitalista è alla base di quella civiltà dell'avere che, secondo Fromm, è la base della “malattia collettiva” generata dal capitalismo). Delle intuizioni di Deleuze e Guattari rimangono comunque alcuni aspetti di grande interesse, come la critica al sistema freudiano classico, ma anche l'idea di rivoluzione “molecolare” basata sulla “micropolitica” di liberazione del desiderio dalle gabbie repressive create dal capitalismo (in collaborazione con il sistema freudiano tradizionale) e che scompone l'unitarietà di un corpo “totalitario” (sia questo anche un corpo rivoluzionario). Queste idee rappresentano intuizioni importanti, in chiave di organizzazione di una rivoluzione futura. Su questi singoli aspetti delle idee di Deleuze e Guattari si tornerà.

Chi scrive ringrazia il compagno Lorenzo Mortara ed il compagno Stefano Zecchinelli per gli spunti interessanti che gli hanno fornito, e che hanno arricchito il quadro, pur rimanendo ovviamente totalmente responsabile di ciò che è scritto nel presente articolo.

 

La nascita della psicoanalisi: un terremoto scientifico e filosofico 

 

La psicoanalisi ha una gestazione lunghissima, le cui radici coincidono con quelle del pensiero filosofico. Il primo scritto che abborda temi psicologici è infatti il De Anima di Aristotele, in cui si definisce l'anima come sostanza (non materia, che in Aristotele è cosa ben diversa) del corpo umano, e si analizzano ruoli e funzioni dei sensi. Ma è solo con il fiorire del positivismo ottocentesco, e con la sua fiducia nella possibilità di conquistare la conoscenza totale tramite il metodo scientifico (quindi l'enunciazione di principi, effettuata partendo dall'osservazione del reale, da confermare o rigettare tramite il metodo sperimentale ed empirico) che la psicologia esce dalla speculazione filosofica, e si struttura autonomamente come scienza vera e propria, connotata dal suo sistema di principi, dalle sue scuole di pensiero, dal suo metodo di indagine e dalle sue tecniche terapeutiche.

Non è qui il caso di riassumere, nemmeno per sommi capi, le diverse teorie che contribuirono alla formazione della prima dottrina psicoanalitica vera e propria, ovvero quella freudiana. Si può, in modo estremamente sintetico e semplicistico, differenziare fra teorie che indagano la base organica e sensoriale del disturbo psichico (che daranno nascita alle teorie del riflesso, ammirevolmente sviluppate, nella stessa Urss, da Pavlov, nonché alla psichiatria moderna) da quelle che, pur riconoscendo l'importanza della base fisiologica, indagano i disturbi psichici con una lente idonea a curare l'anima (mi si perdonerà l'utilizzo del termine anima, non del tutto corretto sotto il profilo psicoanalitico), partendo dal linguaggio stesso dell'anima, ovvero la simbologia del mito e della leggenda. Si può anche differenziare quel filone che si focalizza sulla cura del comportamento esterno, studiando in modo principale le relazioni funzionali fra il paziente ed il suo ambiente (scuola comportamentista) ed il filone che analizza la psiche nei suoi legami strutturali profondi, che sfuggono al condizionamento sociale immediato, e che sfocerà in quell'enorme progresso scientifico, ed a mio avviso anche filosofico, che è la scuola junghiana.

L'emergere della psicoanalisi in forma strutturata, negli ultimi anni del XIX secolo, è da attribuirsi a Sigmund Freud. La sua più grande scoperta, che per molti versi ribalta lo stesso positivismo, che tanta spinta aveva dato alla formazione della scienza psicologica, è quella dell'inconscio (o meglio, più che di scoperta si dovrebbe parlare di riutilizzo del concetto, già trattato in ambito poetico e filosofico, in ambito scientifico e medico) ovvero del luogo psichico nel quale si agitano impulsi, istinti e pulsioni, non di rado primordiali, del tutto sconosciuti alla coscienza, ma che tramite i sogni, i lapsus, gli atti mancati, se non addirittura le esplosioni psicotiche, manifestano la loro esistenza, e cercano di condizionare il comportamento cosciente. In estrema sintesi, il sistema freudiano contempla una suddivisione della mente per strati, dove all'inconscio si contrappone il Super Io, ovvero l'istanza psichica che contiene i precetti morali, valoriali e comportamentali prodotti dalla civiltà nella quale il soggetto vive, e la cui funzione è di consentire l'adattamento sociale dell'individuo, rimuovendo gli impulsi inconsci contrari ai precetti accettati dalal morale sociale. Infine, l'Io è la funzione mediatrice, che cerca di adattare le esigenze impulsive ed istintuali provenienti dall'inconscio con le esigenze di relazionalità sociale espresse dal Super Io.

Secondo Freud, i due impulsi inconsci principali sono costituiti dal principio di piacere, che in termini di energia psichica si identifica nella libido, che si esprime fondamentalmente sotto la forma di desiderio sessuale, nonché il principio di morte, ovvero una spinta verso la calma e la staticità della non-esistenza, e che in termini di energia psichica si traduce nella destrudo, ovvero nel desiderio di distruzione ed autodistruzione. E' chiaro che la sessualità assume una funzione primaria, pressoché esclusiva rispetto a tutte le energie creative dell'individuo, all'interno del pensiero di Freud. Egli afferma che la sessualità esiste sin dalla nascita (nasciamo “poliformicamente perversi”, e già l'espressione “perversi” indica chiaramente, come un evidente esempio di lapsus freudiano, i limiti piccolo borghesi e reazionari del sistema freudiano, sui quali torneremo nel prosieguo) che la maturità sessuale passa per il tramite del superamento di complessi infantili di natura incestuosa (complessi di Edipo e di Elettra) e che l'eziologia delle nevrosi è essenzialmente basata sulla repressione dei desideri sessuali attuata dal Super Io (e quindi, in ultima analisi, dal sistema culturale e morale della società).

Cosa propone però la tecnica psicoanalitica freudiana per guarire questo mondo così malato di sessualità repressa? Certo, in parte, anche una sessualità più sana e libera, ma soltanto ed esclusivamente nei limiti consentiti dalla morale attuale della società in cui si vive (e nel caso della fase del capitalismo in cui viveva Freud, stiamo parlando di limiti molto ristretti), poiché il fine ultimo, e quindi fondamentalmente la natura reazionaria e piccolo-borghese del freudianesimo, consiste nel miglioramento dell'adattabilità sociale del soggetto. La parte di sessualità non liberabile in quanto tale va “sublimata”, ovvero orientata verso altre finalità, di tipo creativo (lavoro intellettuale, culturale o artistico). In altri termini, lasciando parlare Freud, “la pulsione sessuale mette a disposizione del lavoro culturale delle quantità di energia estremamente grandi; e ciò è dovuto alla peculiarità particolarmente accentuata in essa di poter spostare la sua meta senza ridurre sensibilmente la propria intensità. Questa capacità di scambiare la meta sessuale originaria con un'altra meta che non è più sessuale, ma è psichicamente imparentata con la prima, viene chiamata capacità di sublimazione”.

Quindi, di fatto, il metodo freudiano è teso alla conservazione degli assetti borghesi esistenti. Limita l'analisi delle nevrosi a mere distorsioni nella sfera sessuale; cura tali distorsioni incanalando l'energia sessuale inaccettabile dagli assetti sovrastrutturali esistenti, e quindi potenzialmente sovversiva, verso un lavoro intellettuale, culturale o creativo che ovviamente solo una piccolissima frazione della società, di norma la più istruita e quella con maggiore tempo libero e migliori strumenti culturali (e quindi di norma quella appartenente alle classi sociali più ricche, o dominanti) può svolgere (ed un lavoro creativo svolto di norma da esponenti delle classi dominanti ha ben poco potenziale rivoluzionario). Una espressione efficace ci dice che Freud stesso, da piccolo-borghese qual'era, si spaventò delle enormi potenzialità del calderone inconscio che aveva appena scoperchiato, e si premurò di richiuderlo ermeticamente, prima che l'enorme energia di impulsi inconsci e irrazionali distruggesse il suo stesso mondo.

 

RICCARDO ACHILLI

 

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