Una misura “regressiva”

Pubblicato il da giornaleproletariogarfagnino

 

CGIL

 

Roma, 7 settembre -

 

Una misura “regressiva” che “grava su chi ha un minor reddito disponibile e che comporta un aumento dell'inflazione nonché del tasso di evasione ed elusione fiscale", per non parlare degli "effetti negativi sulla domanda interna, sulla crescita potenziale e sullo sviluppo”. In un documento di analisi il dipartimento Politiche economiche della Cgil Nazionale analizza gli effetti e gli introiti prodotti dall'aumento dell'Iva per quanto riguarda l'aliquota ordinaria, portandola dal 20 al 21%, così come previsto dal maxiemendamento alla manovra.

 

 

Nel bocciare la misura la Cgil calcola però anche il gettito prodotto dall'imposta sul valore aggiunto che nel 2008 (ultimo dato ufficiale disponibile), al netto dei crediti, era complessivamente di 79 miliardi di euro così ripartiti: circa 7 miliardi dall'aliquota minima (4%), circa 17,5 miliardi dall'aliquota ridotta (10%), circa 54,5 miliardi dall'aliquota ordinaria (20%). Il valore del punto percentuale per le tre aliquote risulta rispettivamente di 1,76 miliardi per l'aliquota minima (4%), di 1,75 miliardi per l'aliquota ridotta (10%) e di 2,73 miliardi per l'aliquota ordinaria (20%).

 

Ma le considerazioni che la Cgil fa sull'Iva come misura “regressiva” si motivano anche perché un aumento di quest'imposta, come osserva il segretario confederale, Danilo Barbi, “anche a parità di altre condizioni quali gli stili di consumo e il tasso di evasione, si traduce in un incremento pressoché 'piatto' del prelievo sui consumi rispetto ai livelli di reddito disponibile e, quindi, in un maggiore prelievo per le fasce di reddito basse e medio-basse”. In altre parole, osserva, “con una maggiore imposizione Iva al diminuire del reddito aumenterebbe l’impatto fiscale maggiore” e per questo “la misura ipotizzata è dunque regressiva”.

 

Quanto poi agli effetti prodotti dall'incremento di questa imposta, la Cgil sostiene che “le persone e le famiglie con livelli di reddito (e di consumo) medio-bassi sarebbero più colpiti e, probabilmente, ridurrebbero la loro propensione al consumo a fronte dell’aumento dei prezzi”. Oltre a questo svantaggio microeconomico, poi, “l’aumento dell’inflazione comporterebbe un effetto negativo (macroeconomico) per l’intero sistema-paese mentre anche il solo aumento dell'aliquota ordinaria (20%) potrebbe portare un ulteriore incremento del tasso di evasione ed elusione fiscale”. Tutto ciò, quindi, produrrebbe “inevitabilmente” per la Cgil “un'ulteriore iniquità nei confronti dei redditi dei lavoratori dipendenti e pensionati e, in generale, dei redditi medio-bassi, senza nessuna certezza di maggiori entrate, essendo l’Iva già oggi l’imposta più evasa”. Senza contare poi, conclude la Cgil, “gli effetti sulla domanda interna, la crescita potenziale e lo sviluppo”.

 

 

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