Capitolo primo: la merce. (Seconda parte)

Prendiamo ancora due merci, p. es. grano e ferro. Qualunque sia il loro rapporto di scambio, lo si può sempre raffigurare in una equazione, nella quale una data quantità di grano è equivalente a una data quantità di ferro, p.es. un quarter di grano = un quintale di ferro. Cosa significa questa equazione? Che in due diverse cose, in un quarter di grano come anche in un quintale di ferro, esiste un qualcosa di comune e della stessa grandezza. Quindi ambedue sono eguali a una terza cosa, che in se stessa non è né l'uno né l'altro. Ciascuno di essi, come valore di scambio, deve perciò essere riducibile a questo terzo. Un semplice esempio geometrico ci servirà per dimostrarlo. Per misurare e confrontare la superficie di tutte le figure rettilinee, le riduciamo a triangoli. Quindi riduciamo il triangolo ad una espressione affatto diversa dalla sua figura visibile, al semiprodotto della base per l'altezza. Nella stessa maniera i valori di scambio delle merci si possono ridurre a un qualcosa di comune, di cui rappresentano un più o un meno. Questo qualcosa di comune non può essere una qualità geometrica, fisica, chimica o qualche altra qualità naturale delle merci: noi consideriamo generalmente le loro qualità corporee solo in quanto le fanno utilizzabili, ossia valori d'uso. Ma d'altra parte il rapporto di scambio delle merci è contrassegnato con evidenza proprio da questa astrazione dai loro valori d'uso. Entro tale rapporto, un valore di scambio vale quanto un altro, a patto che ve ne sia in proporzione sufficiente. Cioè, come dice il vecchio Barbon: <<Un genere di merci è buono al pari di qualsiasi altro, se è di egual grandezza il loro valore di scambio. Non esiste alcuna differenza o distinzione tra cose che hanno valore di scambio di ugual grandezza>>. Come valori d'uso le merci sono innanzi tutto di qualità differente, come valori di scambio sono soltanto di qualità differente, cioè non hanno neppure un atomo di valore d'uso. Ma, se non si considera il valore d'uso dei corpi delle merci, rimane loro una sola qualità, quella di essere prodotti del lavoro. Ma già il prodotto del lavoro ci ci si è trasformato non appena lo abbiamo nella mano. Se tralasciamo il suo valore d'uso, tralasciamo anche le parti fondamentali e le forme corporee che lo fanno valore d'uso. Non è più tavola, o casa, o filo o altra cosa utile. Viene a sparire ogni sua qualità sensibile, e non è più neanche il prodotto del lavoro del falegname o del muratore o del tessitore, o di ogni altro determinato lavoro produttivo. Vien meno insieme al carattere di utilità dei prodotti del lavoro anche il carattere di utilità dei lavori in essi rappresentati, vengono meno quindi anche le svariate forme concrete di tali lavori, le quali non si distinguono più, bensì sono tutte ricondotte al medesimo lavoro umano, a lavoro umano astratto. Consideriamo ora il residuo dei prodotti del lavoro. Nulla resta di essi tranne una eguale fantastica oggettività, una pura gelatina di lavoro umano indistinto, cioè di dispendio di forza lavorativa umana senza badare alla forma del suo dispendio. Queste cose non stanno ormai che a rappresentare il fatto che nella produzione è stata spesa forza di lavoro umano, vi è accumulato lavoro umano. E in quanto sono cristalli di questa sostanza sociale a loro comune, esse sono valori, valori di merci. Il valore di scambio, nel rapporto di scambio delle merci stesse, si è dimostrato come una cosa del tutto indipendente dai loro valori d'uso; ma si raggiunge il valore dei prodotti del lavoro come è stato proprio adesso determinato, qualora ci si attragga veramente dal loro valore d'uso. Quindi il fattore comune che appare nel rapporto di scambio o nel valore di scambio della merce, è il valore della merce medesima. Andando avanti con l'indagine giungeremo al valore di scambio inteso quale modo necessario di espressione o forma fenomenica del valore, sebbene questo in un primo momento sia da esaminarsi senza tener conto di quella forma. Un valore d'uso o bene ha valore solo in quanto viene oggettivato, o materializzato, in esso astratto lavoro umano. Come misurare allora la grandezza del suo valore? Per mezzo della quantità della sostanza che crea valore, cioè del lavoro, che è contenuta in esso. La quantità del lavoro si misura a sua volta con la sua durata nel tempo, e il tempo di lavoro a sua volta si misura in determinate frazioni di tempo, come l'ora, il giorno ecc.  Si potrebbe credere che, essendo il valore di una merce determinato dalla quantità di lavoro impiegata per la produzione di essa, quanto più pigro o quanto più maldestro fosse un uomo, tanto maggior valore dovrebbe avere la sua merce, giacché gli occorrerebbe molto più tempo per terminarla. Ma il lavoro che forma la sostanza dei valori è lavoro umano uguale, dispendio della stessa forza di lavoro umano. Tutta la forza di lavoro della società, che si manifesta nei valori del mondo delle merci, è qui considerata unica e identica forza di lavoro umano, sebbene partecipino ad essa moltissime forze di lavoro individuali. Ciascuna di queste forze di lavoro individuali è una forza di lavoro umana eguale alle altre, giacché possiede le caratteristiche di una forza di lavoro sociale media, e quindi impiega, nel produrre una merce, solo il tempo di lavoro necessario in media, cioè socialmente necessario. Tempo di lavoro socialmente necessario è il tempo di lavoro che occorre per rappresentare un qualunque valore d'uso nelle attuali condizioni di produzione socialmente normali, e col grado sociale medio di abilità e di intensità di lavoro. P.es., dacché fu introdotto in Inghilterra il telaio a vapore, è stata sufficiente forse solo la metà del tempo che prima occorreva per formare un tessuto da una data quantità di filato. In effetti al tessitore inglese col telaio a mano bisognava lo stesso tempo di lavoro, prima e dopo, per questa trasformazione; ma da allora, con l'impiego del telaio meccanico, il prodotto della sua ora lavorativa individuale rappresentava solo una mezza ora lavorativa sociale, riducendosi per questo alla metà del valore di prima.

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