"Le internazionali" di Ferri Alessandro

Pubblicato il da giornaleproletariogarfagnino

Riportiamo uno stralcio del libro scritto da Ferri Alessandro dal titolo "Le Internazionali". In questo capitolo del primo volume, viene descritta una breve biografia ed il pensiero di Proudhon.

 

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PIERRE JOSEPH PROUDHON

 

Breve biografia:                                                                                                                                                                      

Nato il 15 Gennaio del 1809 a Besancon in Francia da una famiglia povera, frequentò la scuola locale vincendo una borsa di studio, ma evidenti problemi economici lo costrinsero ad abbandonare.                                                                            

Nel 1839 si trasferì a Parigi dove trascorse una vita umile dedicandosi allo studio e lavorando come tipografo.                  

Nello stesso anno pubblicò il suo primo libro "De la cèlèbration du dimanche" (la celebrazione della domenica), seguito da "Qu'est ce que la proprietè?" (Cos'è la proprietà?) del 1840. Furono queste sue prime due opere a generare i suoi primi guai con la legge, tanto è vero che venne accusato di oltraggio alla religione e incitamento all'odio verso il governo.              

Nel 1842 si spostò a Lione dove esercitò la professione di impiegato e diede vita a due roccaforti del suo pensiero sociale e politico "De la creation de l'ordre dans humanite" (1843) e "Systeme des contradictions economiques ou philosopie de la misère" (1846). Nel 1847 fece ritorno a Parigi dove conobbe Karl Marx e Michail Bakunin, l'anno successivo partecipò alla rivoluzione, dove venne eletto deputato dell'Assemblea Nazionale.  Fu nel 1850, che tramite mezzo stampa attaccò Bonaparte III, questo fu causa di tre anni di detenzione durante i quali sposò un'operaia parigina e diede vita all'opera "Les confession d'un revolutionnaire". Nel 1858 la pubblicazione del libro "De la justice dans la revolution et dans l'Eglise" lo portò a nuove condanne. Rifugiatosi in Belgio, tornò in Francia per scrivere i suoi ultimi lavori.                                                                                    

Morì nel 1864.

 

 

PENSIERO:

 

Proudhon fu il primo intellettuale a definirsi anarchico.                                                                                                            

Per il francese la realtà è estremamente complessa ed è per questo che l'uomo e la scienza trovano difficoltà oggettiva nel comprenderla e spiegarla. Finisce nel fallimento teorico o nell'arbitrio, scientifico e poi politico ogni sorta di risposta che voglia essere definitiva o risolutiva. Sono invece reali le antinomie, cose che sono in opposizione tra loro nella realtà.                                              

Secondo Proudhon la forza vitale della società e della libertà sta nella logica binaria delle contraddizioni, le quali necessitano di un equilibrio dei contrari senza far sparire le contraddizioni, visto che non si possono né risolvere né annullare tra di loro.

Il filosofo auspica un sistema sociale che escluda qualsiasi forma di assolutismo, pertanto ritiene il pluralismo fondamentale.                      

L'anarchico sostiene che si produce ricchezza sociale per mezzo del lavoro, come azione collettiva.

 

Il lavoro sociale è la base della società, pertanto questa è un essere collettivo reale, dotato di due caratteristiche basilari, la RAGIONE COLLETTIVA e la FORZA COLLETTIVA.                                                                                       

In sostanza la società è molto di più che la somma degli individui che la producono.                                                            

Nonostante siano incatenate in un'organizzazione gerarchica e sfruttatrice, l'uguaglianza e la giustizia sono un fatto oggettivo. Proudhon dice che la giustizia è insita nella consapevolezza e nella storia umana :<< giacchè, se la giustizia non è innata all'umanità, se le è superiore, esterna e straniera, ne risulta che la società umana non ha leggi proprie, che il soggetto collettivo non ha costume; che lo stato sociale è uno stato contro natura, la civilizzazione è una depravazione >>.   La forza collettiva generata dall'unione degli sforzi individuali, fa si che i singoli uomini ricevano più di quello che danno.   In poche parole, l'unione produce forza collettiva la quale è nettamente superiore ai singoli individui.                                                                                                                                                                                                                           La ragione collettiva vuol essere un'associazione egualitaria fra individui, visto che questa favorisce maggiore socialità e compartecipazione di interessi rispetto a quella fra non uguali.                                                                                               Appropriandosi indebitamente della forza collettiva, si da il via allo sfruttamento economico.                                                  

E' dall'appropriazione da parte di un singolo, di tutto ciò che è il prodotto di un sacrificio collettivo che si genera il plusvalore.                                                                                                                                                                              

L' accaparrarsi il plusvalore da parte dell'imprenditore avviene poiché egli retribuisce al lavoratore un salario (valore di scambio) che serve alla riproduzione del lavoratore stesso mentre si appropria del lavoro sociale (valore d'uso) ovvero dal prodotto generato dall' attuazione della forza collettiva. "Il capitalista, si dice, ha pagato la giornata degli operai: per essere esatti, bisogna dire che ha pagato ogni giorno una giornata quanti operai hanno impiegato, il che non è affatto la stessa cosa. Perché questa forza immensa che risulta dall'unione e dall'armonia dei lavoratori, dalla convergenza e dalla simultaneità dei loro sforzi, egli non l'ha pagata per niente. Duecento granatieri hanno alzato sulla sua base in qualche ora l'obelisco di Luxor; si pensa che un solo uomo in 200 giorni, ne sarebbe venuto a capo? Tuttavia, per il conto del capitalista, la somma dei salari sarebbe stata la stessa."

Il francese definisce così la diversità tra proprietà e possesso: la proprietà non consiste nella possibilità di fare uso di un bene e di esserne responsabile, ma nel fatto che la proprietà diventi creatrice di reddito, fonte di facile ed esclusivo guadagno. Il possesso è invece l'uso socialmente responsabile di un bene al fine di trarne un frutto corrispondente al lavoro fornito. Nel possesso non vi è diritto assoluto di proprietà ne' trasformazione del bene in capitale parassitario.       La proprietà è definibile invece come il diritto di usare il lavoro altrui e di abusarne "in una parola il dispotismo".                                                                                                                                                                 

Terra, strumenti, macchine hanno valore solo con il lavoro, la separazione di questi da quello crea lo sfruttamento e la separazione in classi della società. Per Proudhon, la proprietà intesa come possesso non è eliminabile, definendo pericoloso il progetto comunista di abolizione della proprietà e il suo avvicendamento con la proprietà collettiva. Secondo l'anarchico il possesso (produzione sociale) esisterà anche in una società comunista, dove qualcuno (stato, classe o individuo) controllerà appropriandosene la produzione, camuffato dall'ideologia comunista. Il filosofo francese ritiene il progetto comunista pericoloso, in quanto si andrebbe a creare un monopolio di Stato dei mezzi di produzione, che darebbe il via ad un sistema di controllo totale sull'individuo e la collettività. In tale sistema " la vita, il talento, tutte le facoltà dell'uomo sono proprietà dello stato, che ha il diritto di farne per l'interesse generale, l'uso che gli piace. Proudhon vuole evidenziare la sua idea utopistica del comunismo, in quanto ritiene che questo darà alla luce un sistema assolutistico di quello capitalistico ed inoltre non risolverà assolutamente il problema della diversità sociale.

Il francese definisce lo stato come una dimensione mistica e religiosa, identificando la tendenza storica dello stato ad estendersi e ad incorporare tutto, canalizzando e limitando le autonomie "a dispetto dei principi che attribuiscono la sovranità alla nazione, sovrano è il potere, che pretende di agire e farsi rispettare come tale, che nella sua qualità di sovrano rilutta all'esame, al controllo, al resoconto, alla discussione".                                                                                  

Per Proudhon le assemblee elettive non possono raffigurare il volere di tutti, quindi la democrazia non può dare al popolo la propria sovranità, ma solamente imprimere un potere più forte e più solido dato che collocato su un illusorio consenso popolare. Secondo l'anarchico esiste una separazione fra società politica e società economica, fra lotta dei lavoratori e la falsa rappresentazione degli interessi che compaiono all'interno delle strutture parlamentari ed amministrative.

" Le rivoluzioni sono le successive manifestazioni della giustizia nell'umanità. E' per questo che ogni rivoluzione ha il suo punto di partenza in una rivoluzione precedente. Dunque chi dice rivoluzione dice necessariamente progresso e, perciò stesso, conservazione. Ne segue che la rivoluzione è in permanenza nella storia, e che propriamente parlando, non ci sono state diverse rivoluzioni, ma non c'è che una sola, stessa e perpetua rivoluzione".                                                    

 

Per Proudhon la classe sociale più rivoluzionaria è quella delle classi operaie, ma solamente se queste riescono a raggiungere la capacità politica necessaria senza farsi plagiare o condizionare da altre classi sociali. La proposta è di una rivoluzione economica che subentri al sistema capitalistico basato sul possesso.                             

Sempre secondo il francese, il modo di funzionamento di questa non può essere che policentrico e federalista.                

La via è quella di una rivoluzione economica che renda del tutto superfluo il potere politico sostituendo il governo con " l'organizzazione industriale", le leggi con i contratti, i poteri politici con le forze economiche, lo Stato con la Federazione.

E' così che Pierre Joseph Proudhon spiega il concetto mutualistico (9):<< Il sistema del Lussemburgo- lo stesso in sostanza di quello di Cabet, di Owen, di Campanella, delle sette cristiane, di Platone, ecc.- sistema comunista, dittatoriale, autoritario parte dal principio che l'individuo è essenzialmente subordinato alla collettività...e allo Stato...egli vede in tutto obbedienza e sottomissione. In forza di questo principio fondamentale della sovranità collettiva e della subordinazione individuale... tutto va allo Stato per essere poi ripartito e distribuito a ciascun cittadino membro della grande famiglia, in base alle sue attitudini e ai suoi bisogni, in nome della comunità o dello Stato. Abbiamo visto precedentemente come la scuola del Lussemburgo concepisse i rapporti dell'uomo con la società, del cittadino con lo stato: secondo essa, si tratta di rapporti di subordinazione, e ne deriva una organizzazione autoritaria e comunista. A questa concezione statale viene ad opporsi quella dei partigiani della libertà individuale, secondo i quali la società deve essere considerata non come una gerarchia di funzioni e di facoltà, ma come un sistema di equilibri tra forme libere, in cui ognuno ha la garanzia di conseguire i medesimi servizi; sistema questo essenzialmente egualitario e liberale.

 [...] Da queste premesse, nettamente contrarie a quelle del Lussemburgo, essi deducono una organizzazione basata sull'applicazione larghissima del principio mutualista. Servizio per servizio - affermano - prodotto per prodotto, prestito per prestito, credito per credito, ecc. : tale è la legge. In questo ordinamento il lavoratore non è un servo dello Stato, inghiottito dall'oceano comunista; è invece l'uomo libero, realmente sovrano, che agisce sotto la sua responsabilità personale, e di sua iniziativa, con la certezza di ricavare dal suo lavoro un compenso adeguato e di trovare presso i concittadini, per tutto il suo consumo, la lealtà e le garanzie più complete.>>

<<FEDERAZIONE dal latino foedus, genitivo foederis, vale a dire fatto, contratto, trattato, convenzione, alleanza ecc., è una convenzione in virtù della quale uno o più capi di famiglia, uno o più comuni, uno o più gruppi di comuni e Stati si obbligano reciprocamente e su un piede d'uguaglianza gli uni verso gli altri; per uno o più scopi particolari, che diventano da quel momento particolare ed esclusiva incombenza dei delegati della Federazione.>>(10). Secondo Proudhon, il Federalismo è la piattaforma della società in cui il "Potere" è esercitato dal basso verso l'alto.                                      

E'basilare considerare l'unità di tale organismo i comuni, collegati tra loro attraverso patti associativi in cui è operante il principio di reciprocità e uguaglianza.[...]

(9) Contenuto nell'opera del 1864, "La capacità politica delle classi operaie" 

(10) P.J. Proudhon- "Il principio federativo" 1863

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