INCIPIT DEL MARXISMO D'OGGI di Lorenzo Mortara

Pubblicato il da giornaleproletariogarfagnino

 Marx

Una volta che si 

è sbobinato il nastro, bisogna però

 riavvolgerlo per il verso giusto. Da dove deve partire il nostro marxismo per una corretta interpretazione degli eventi libici? Il compagno Riccardo Achilli, nel suo ultimo articolo – Dopo Gheddafi la barbarie? – ci dice che l’esito della rivolta libica deve essere valutato in base alla «logica della legge dello sviluppo diseguale e combinato». Tuttavia, la legge dello sviluppo ineguale e combinato, ci spiega perché una rivoluzione può scoppiare in un Paese arretrato prima che in uno avanzato e come le due cose possano combinarsi, ma non pu

ò affatto stabilire dove si dirigerà tutto il processo. Altrimenti sarebbe fin troppo facile. La legge delle sviluppo ineguale e combinato ci parla soprattutto della struttura economica, ma ci dice ben poco della sua interazione con la sovrastruttura politica. Del resto non la può prevedere, essendo questa molto più fluida. La legge dello sviluppo ineguale e combinato nasce per una contrapposizione scientifica al “marxismo” volgare e meccanicistico che stabilisce una tabella idealistica di marcia per tutti i popoli, in modo da avere la scusa buona per non appoggiarne le rivolte, quando ovviamente nessuna nazione ci si atterrà. La legge dello sviluppo ineguale e combinato ha carattere generale, ma non ci dice quali sono le specifiche caratteristiche delle rivolte d’oggi. È da qui invece che dobbiamo far partire la nostra analisi, altrimenti proprio perché si è presa una misura generale, l’analisi resterà generica.

Quali sono gli aspetti fondamentali delle attuali rivolte? In primo luogo – e fin qui credo ci troveremo tutti d’accordo – la crisi devastante del capitalismo, il più grande crack dai tempi del crollo di Wall Strett del 1929. Epperò questo vale in linea di massima per i borghesi. Per noi invece, per il proletariato, qual è oggi l’aspetto più importante da tenere a mente? Il fatto che alla crisi del capitalismo noi non possiamo che rispondere con una crisi ancora più devastante e lunga di direzione storica. Il capitalismo è entrato in coma nel 2008, noi lo eravamo già nel 1924 con la morte di Lenin, quando l

a nostra testa è stata decapitata e da allora non si è più rincollata. Non solo, ma nel 1989-91 oltre alla testa, c’è stato pure lo scempio del corpo. Non dobbiamo solo risollevarci dalla polvere, ma rialzarci da un’ecatombe. Questa ecatombe, anche se può s

embrare inutile dirlo, si chiama stalinismo. Ma non lo è, vista la facilità con cui molti compagni tendono a dimenticarsene.

La crisi storica dell’umanità, ha scritto Trotsky nel suo testo più importante, il Programma di transizione, si «riduce alla crisi della direzione rivoluzionaria». E Trotsky scrive questo nel 1938. Da allora la crisi non si è mica ridotta, anzi si è acuita all’ennesima potenza. Sembra che la maggior parte dei compagni non rifletta minimamente sull’importanza di questo concetto, su cui ruotano di fatto tutti i nostri problemi. Eppure, se tanto mi dà tanto, la crisi della direzione rivoluzionaria del proletariato, porta naturalmente con sé la stabilizzazione della sua direzione controrivoluzionaria. O meglio, quanto più nel proletariato è in crisi la direzione rivoluzionaria, tanto più è stabile, in piena forma e rigoglio, la sua direzione borghese. Che le direzioni delle attuali rivolte vengano prese dai borghesi, dunque, non dovrebbe stupire, anzi a stupire dovrebbe essere il contrario. Ci vorrà probabilmente ancora tutto un periodo storico prima che le masse possano avere alla testa la direzione giusta. Con tutte le disfatte che il proletariato ha dovuto subire solo negli ultimi cinquant’anni, la presa borghese sulla sua testa è così forte che tre o quattro rivolte spontanee non bastano per scuotersela di dosso. Quei compagni che dal primo momento della rivolta non han fatto altro che sputare sentenze sui “tagliagole di Bengasi”, dovrebbero capire che in questo momento, pretendere dalle masse in rivolta che si richiamino a rivoluzioni socialiste piuttosto che a rivoluzioni più o meno democratiche borghesi, significa pretendere che le 

masse colmino spontaneamente un secolo di ritardo. Tra l’altro, in sé e per sé, non c’è niente di più infelice dell’espressione tagliagole. Infatti, anche ammesso più per ipotesi assurda che sia effettivamente così, in tempi di guerra civile, di sommosse e rivoluzioni, non essere un tagliagola, significa soltanto essere perfetto per farsi sgozzare dalla controrivoluzione. Essere un tagliagola, in questi momen

ti, non è un difetto ma una qualità, solo dei rivoluzionari senza qualità possono pensare il contrario.

È soltanto colpa dell’avanguardia se ci sono i borghesi alla testa di Bengasi, perché tocca a lei colmare il divario, riempire la distanza che ancora la separa dal resto della classe. Non il contrario. Chi ha preso subito le distanze da Bengasi non ha fatto altro che aumentarle, creando cioè le premesse per

ché si ripetano all’infinito altre rivolte spontanee immancabilmente preda dei borghesi. Non è un’avanguardia ma una retroguardia. Un’avanguardia, infatti, sa bene come le masse in generale imparino dall’esperienza e non dai libri. E spiace dirlo, ma per l’esperienza storica delle masse, comunismo vuol dire stalinismo, gulag, morte e repressione. Un giovane medio che oggi, a soli vent’anni dal crollo dell’URSS, si rivolti attraverso un programma democratico borghese non è stupido ma intelligente, perché solo un deficiente potrebbe preferirgli d’istinto lo stalinismo. Noi “marxisti studiati”, ovviamente, sappiamo che lo stalinismo è almeno superiore nella sua struttura economica, ma che può saperne di queste cose la gran massa degli sfruttati dalla dittatura del Rais? Come può un popolo imparare il trotskismo col peso censorio della dittatura, aggravato oltretutto da un 18% di analfabeti? Ma anche con un quinto di ignoranza brutale, i giovani della Libia sono meno deficienti di chi non si fa carico delle loro mancanze.

Alan Woods, uno dei pochi compagni che ha invece riflettuto sulle parole di Trotsky, le ha approfondite spiegando che il «fattore più importante nell’attuale situazione è l’assenza di una forte e autorevole direzione marxista su scala mondiale. La tendenza genuinamente marxista è stata ricacciata indietro per decenni (ultimo corsivo mio) e oggi rappresenta una piccola minoranza. Non può ancora guidare le masse alla vittoria. Ma i problemi delle masse sono impellenti. Le masse non possono aspettare che noi siamo pronti per guidarle»1. Questo pensiero di Woods, è il concetto marxista teoricamente più importante di tutta l’attuale fase storica che stiamo vivendo e probabilmente anche della prossima. Forse l’intera nostra generazione dovrà essere sacrificata sull’altare delle direzioni borghesi. Tanto è il tempo, probabilmente necessario, per poterne vedere spuntare qualcuna proletaria. Bisognerebbe marchiare a fuoco queste parole sulla fronte dei compagni più duri di comprendonio. O si parte da qui per analizzare gli eventi, o ci si ferma subito non al marxismo ma a un suo surrogato.

Se invece si fa lo sforzo di partire da qui, è facile constatare come non siano le masse ad essere deficienti, ma è la deficienza della loro direzione che è ormai patologica. I “mongoloidi” siamo noi, almeno questa è l’apparenza, ed è giusto che sia così, perché le masse un’altra esperienza storica non ce l’hanno e bisognerà fargliela rifare più o meno da capo. Decenni di ritardo direzionale, si colmeranno pian piano attraversando decenni di direzione borghese, ma solo se questa direzione verrà incalzata, fianco fianco alle masse, dalla spina nel fianco della critica rivoluzionaria.

Il partito è in ritardo ma le masse non possono aspettare i comunisti ritardati. È ora che i compagni si sveglino e comincino quantomeno a comprenderlo. Senza immischiarsi nelle faccende dei tagliagole di Bengasi e di altre rivoluzioni, oltre a rimanere decapitati, continueremo a far scempio anche del nostro corpo.

 

 

 

I marxisti e la rivoluzione venezuelana, tratto dal libro La rivoluzione venezuelana, una prospettiva marxista, di Alan Woods, A.C Editoriale.

 

Di Lorenzo Mortara
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